• Paper Moon (1973) è uno dei due migliori film di Peter Bogdanovich (1939), regista, scrittore, attore, produttore, critico e storico del cinema americano, con la fotografia di Laszlo Kovaks, la produzione esecutiva di Polly Platt e l'incredibile interpretazione di Tatum O'Neal che, per questa parte, ottenne l'Oscar come miglior attrice non protagonista.
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Bogdanovich è un cultore del cinema in bianco e nero e persino del cinema muto. È sua abitudine vedere i film che apprezza, più volte, accumulando sensazioni ed emozioni a ciascuna tornata.
King Vidor (1894-1982) è uno dei suoi registi preferiti, ma quando uscì il suo celebrato The Last Picture Show (1971), che ottenne otto nomination all'Oscar e vinse due statuette, molti riconobbero nel modo di dirigere di Bogdanovich, invece il marchio di Orson Welles.
Inizialmente, quando gli chiesero di dirigere il suo terzo progetto (il secondo era stato What's Up, Doc? 1972, con Barbra Streisand e Ryan O'Neal) Bogdanovich esitò. A convincerlo ci si mise la sua ex-moglie Polly Platt (a sua volta produttrice, scenografa e sceneggiatrice), e il fatto che, nella trasposizione dal romanzo di Joe David Brown Addie Pray, la sceneggiatura fosse stata affidata ad Alvin Sargent, nelle cui capacità Peter riversava un'estrema fiducia.
Forse giocò un ruolo nella decisione del regista, anche l'aver già lavorato con Ryan O'Neal e il fatto che la figlia di questi, Tatum, fosse nell'età giusta e aderisse così perfettamente al personaggio di Addie Pray. L'affiatamento tra i due e l'attitudine della bambina alla recitazione sono una gradita circostanza secondaria.
La fotografia fu affidata a Laszlo Kovaks (1933-2007) – la cui carriera, dopo Easy Rider (1969) e Cinque Pezzi Facili (1970) e, per Bogdanovich, Targets (1968), What's Up, Doc? (1972) – stava esplodendo. Il regista aveva già toccato con mano la sua professionalità e con lui avrebbe lavorato ancora a lungo.
Il film si sarebbe chiamato Paper Moon.
Il titolo deriva dall'inquadratura che vede Addie al Luna Park, seduta sulla luna di cartone nello stand di un fotografo.
Un'immagine romantica, carica di nostalgia e di speranza. Un classico che identifica un'epoca. Una foto in cui la bambina ha tentato di trascinare – invano – l'uomo che, nella sua fantasia, potrebbe essere suo padre. Proprio la ricerca del padre è una delle tematiche su cui si regge questa commedia leggera che rappresenta un piccolo gioiello nel panorama della produzione holliwoodiana.
Un film caratterizzato da pochissime inquadrature: per lo più primi piani sui volti dei personaggi, dietro i quali si intuiscono i particolari che dipingono un'era: quella della Grande Depressione successiva al crollo economico del 1929.
Molti registi tributano omaggi, nel loro lavoro, ai colleghi che ritengono abbiano lasciato un segno nella loro formazione e nel loro stile di regia. Non è il caso di Peter Bogdanovich o, almeno, non un caso così evidente.
Tuttavia, girando Paper Moon, il regista denuncia le influenze esercitate, in particolare, da alcuni di questi: The Grapes of Wrath-Furore (romanzo 1939, John Steinbeck; film 1940, John Ford), Of Mice and Men-Uomini e topi (romanzo 1937, John Steinbeck; film 1939, Lewis Milestone); To Kill A Mockingbird-Il buio oltre la siepe (romanzo 1960, Harper Lee; film 1962, Robert Mulligan); The Sting-La stangata (sceneggiatura David Maurer, regia George Roy Hill 1973).
Paper Moon è infatti un road movie che ha come co-protagonista una bambina più grande della sua età, il cui plot riguarda due truffatori di piccolo cabotaggio. La trama si svolge sullo sfondo della crisi che, dal '29, si estese a gran parte degli anni '30.
Nella scelta delle location per le scene in esterni, Polly Platt sembra essersi documentata passando in rivista il materiale fotografico della Farm Security Administration e, in particolare, gli scatti della fotografa Dorothea Lange che ha documentato il travaglio della migrazione degli agricoltori durante la Grande Depressione.
Il film, e qui occorre riconoscerne il merito a Laszlo Kovaks, è fortemente “fotografico”. A partire dal bianco e nero, all'uso del grandangolo sui primi piani che apre allo spazio retrostante, alla prospettiva dal basso, strumentale al personaggio della giovane protagonista.
Siamo nel Kansas, uno stato fortemente toccato dalla crisi. Nella scena iniziale vediamo un primo piano di Addie Loggins, nell'inquadratura che progressivamente si allarga ad abbracciare il camposanto, mentre, nella colonna sonora, a disturbare la voce dell'officiante, entra il rombo scopiettante di un'automobile che si arresta sul ciglio del cimitero.
L'uomo che ne esce è Moze Pray, un'imbroglione che smercia bibbie sopravvalutate alle vedove di persone scomparse di recente facendo loro credere che siano state ordinate dal caro estinto. L'uomo attraversa il campo, arraffa i fiori che qualcuno ha lasciato su una tomba e si aggrega alla mesta compagnia che sta seppellendo la mamma di Addie, affermando di essere un amico della defunta di passaggio sulla via del confinante stato del Missouri.
Nel qual caso, le brave signore che hanno accompagnato Eddie al funerale chiedono all'uomo, visto che è di strada, se non possa accompagnare Addie dalla zia che abita a Saint Joseph, Missouri.
Scorgendo nella circostanza la possibilità di estorcere dei soldi a qualcun altro, Moze accetta e i due partono insieme.
Addie chiede all'uomo se abbia conosciuto sua madre in un bar, ipotizzando che possa essere suo padre. La mamma di Addie, infatti, apprendiamo ben presto, viveva un'esistenza piuttosto disordinata e orientata a una spiccata promiscuità.
Il film non chiarisce mai se la conoscenza tra la madre di Addie e Moze sia una circostanza totalmente campata per aria, esattamente quanto il dubbio che Addie conserverà oltre la fine del film. Questo dettaglio viene giocato dalla coppia di protagonisti (che “sono” padre e figlia nella realtà) con una certa ironia: «Ho già incontrato uomini che potevano essere mio padre, ma … la mascella non era la stessa...»
Se il fatto che la bambina fumi qualche sigaretta mentre è a letto strappa semmai un sorriso, il fatto che ascolti regolarmente la radio è un elemento determinante per caratterizzare il personaggio. Oltre ad averle aperto la mente, rispetto ai bambini della sua età, ma anche rispetto a tanti adulti – più di Moze senz'altro – la rende, molto più consapevole della realtà.
Una Bibbia, nel caso di una vedova visibilmente nullatenente e attorniata da una folta prole – vedi Dorothea Lange, Destitute pea pickers in California. Mother of seven children – diventa per Addie istantaneamente «già pagata» e, mentre procedono verso il confine dello stato, capita che i due incrocino l'automobile in panne, stracolma di vettovaglie, appartenente ad agricoltori migranti, scacciati dalle loro terre dalla Depressione o dalle tempeste di polvere o da entrambe gli eventi catastrofici, e diretti verso la California – vedi Dorothea Lange, Migrants, family of Mexicans, on road with tire trouble – Addie vorrebbe fermarsi e dare loro dei soldi, perché «Roosvelt dice che dobbiamo aiutarci a vicenda.»
Nel film ci sono altri personaggi, impersonati da Madeline Kahn, nei panni di Miss Trixie Delight, la sua cameriera nera, Imogene, impersonata da P.J. Johnson e John Hillerman, nel doppio ruolo del vicesceriffo Hardin e del fratello di questi, il contrabbandiere Jess. Tuttavia, entrambi gli episodi che riguardano le loro interpretazioni, seppur ottime, rallentano il flusso della narrazione e ci si trova impazienti, terminata la parentesi narrativa,che la storia ritorni sui due protagonisti principali.
A questo proposito, è opportuno sottolineare che l'inquadratura della hall dell'albergo nella scena in cui compare John Hillerman /Jess Harding possiede l'atmosfera dei quadri di Edward Hopper. Ancora Polly Platt e Laszlo Kovaks.
Dolcemente chapliniano, il finale è perfetto e il film lascia lo spettatore col sorriso sulle labbra.
Per quanto straordinario che a 10 anni Tatum O'Neal abbia vinto l'Oscar come miglior attrice “non” protagonista – la più giovane attrice ad aver mai ricevuto un simile riconoscimento – guardando il film, si direbbe che la scena poggi proprio tutta sulle spalle della bambina che interpreta un personaggio per nulla secondario e, grazie anche alla propria espressività, come si suol dire, “a tutto tondo”. Ci diverte, ci fa riflettere e, alla fine, ci commuove. Ma il premio per la migliore attrice “protagonista” evidentemente doveva andare a Glenda Jackson.
Nonostante la partenza a razzo nel campo del cinema, la carriera di Tatum O'Neal sarà avviata a un veloce declino, accelerato dall'abuso di alcool, droghe e comportamenti imbarazzanti che hanno alimentato i tabloid, sempre pronti a pescare nel torbido. La carriera del padre non incontrerà destino migliore e, con la regia, Bogdanovich scivolerà presto nell'irrilevanza. Si lasciava alle spalle due capolavori: The last picture Show e questo, Paper Moon, entrambi in bianco e nero, entrambi avvalsi della produzione di Polly Platt e della fotografia di Laszlo Kovaks. Il direttore della fotografia, che lavorerà con Bogdanovich più che con qualsiasi altro regista e Polly continueranno la loro splendida carriera, la donna scrivendo la sceneggiatura di Pretty Baby (1978), e ottenendo una nomination per la scenografia di Terms of indearment (1983).
Una riflessione amara merita il fatto che, assistendo alla scena iniziale in cui una bambina viene affidata a un estraneo, il pubblico non possa che provare un brivido lungo la schiena. A riprova, semmai ce ne fosse bisogno, che l'umanità, almeno da questa parte del globo, su questo tema, abbia completamente perso l'innocenza.