• Ciascuno di noi tende a maturare le proprie opinioni basandosi su una prima impressione. Dopo di che, ciascuno tende a consolidare quell’opinione basandosi solo sulle fonti che la possono confermare. Succede a tutti. È successo anche a me. Anche se mi sono imposto di valutare il materiale degli amici che la pensano diversamente, non ho cambiato idea.


La prima impressione è stata generata da un articolo di Gustavo Zagrebelsky (1), rafforzata dagli interventi di Valerio Onida (2), Annibale Marini (3)iPaolo Maddalena (4).

Tutti giuristi e costituzionalisti, cioè tecnici in grado di giudicare nel merito una riforma della Costituzione che è propriamente tecnica, cioè difficile da comprendere nei suoi effetti nefasti da parte di persone ben più brillanti di me, semplice cittadino di scarsa istruzione e di intelligenza modesta.

Ma il testo che mi ha assolutamente confermato nella mia opinione é l’articolo di Roberto Scarpinato, magistrato, attuale Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Palermo, apparso su «Micromega» il 22 novembre 2016. Ho cercato di sintetizzarlo, presentandolo in maniera un po’ più schematica dell’originale per venire incontro alla grande difficoltà della nostra epoca: concentrarsi per più di tre minuti di seguito su un singolo argomento.

Qui non c'entra essere pro o contro Renzi o votare con personaggi infrequentabili. Qui si tratta di essere consapevoli di quel che significhi nel merito questo referendum e di quanto si appresti a influire sulla nostra vita la riforma che siamo chiamati a confermare o a respingere.

Allego in fondo all’articolo un link all’originale per chi volesse consultare le parti che ho omesso.

Con questo, non m'illudo di convincere i sostenitori del SÌ, mi accontenterei di sensibilizzare gli indecisi, di sostenere nella loro opinione coloro che sono contrari alla riforma della Costituzione e di convincerli della fondamentale importanza di esprimere domenica con il voto la loro contrarietà.

* * *

Scarpinato: “La riforma Renzi è oligarchica e antipopolare”

Poiché, come diceva Hegel, il demonio si cela nel dettaglio, questo dettaglio – se così vogliamo impropriamente definirlo – racchiude in sé e disvela l’animus oligarchico e antipopolare che – a mio parere – attraversa sottotraccia tutta la riforma costituzionale, celandosi nei meandri di articoli la cui comprensione sfugge al cittadino medio, cioè a dire alla generalità dei cittadini che il 4 dicembre saranno chiamati a votare.

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1

Questa riforma, con i suoi 47 articoli su 139 introduce una diversa Costituzione, alternativa e antagonista nel suo disegno globale a quella vigente.

La riforma abroga l’articolo 58 della Costituzione vigente che sancisce il diritto dei cittadini di eleggere i senatori, e con ciò stesso svuota di contenuto l’art. 1 della Costituzione, norma cardine del sistema democratico che stabilisce che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Perché pur riformando il Senato avete ritenuto indispensabile espropriare i cittadini del diritto – potere di eleggere i senatori?

Perché questo specifico punto della riforma è stato ritenuto tanto essenziale da determinare addirittura l’epurazione dalla Commissione affari costituzionali dei senatori del Pd – Corradino Mineo e Vannino Chiti – che si battevano per mantenere in vita il diritto dei cittadini di eleggere i senatori?

Questo travaso di potere dai cittadini alle oligarchie di partito non riguarda solo il Senato, ma anche la Camera dei Deputati e viene realizzato mediante sofisticati meccanismi che sfuggono alla comprensione del cittadino medio.

2

La nuova legge elettorale nota come l’Italicum, che costituisce una delle chiavi di volta della riforma, attribuisce infatti ai capi partito e ai loro entourage il potere di nominare ben cento deputati della Camera, imponendoli dall’alto senza il voto popolare.

Questo risultato viene conseguito mediante il sistema dei capilista bloccati inseriti di autorità nelle liste elettorali presentate nei 100 collegi nei quali cui si suddivide il paese, e che vengono eletti automaticamente con i voti riportati dalla lista, senza che nessun elettore li abbia indicati.

Gli elettori potranno esprimere un voto di preferenza per un altro candidato oltre il capo lista, ma i voti di preferenza così espressi saranno presi in considerazione solo se la lista da loro votata avrà ottenuto più di cento deputati in campo nazionale, perché i primi cento posti sono bloccati per le persone “nominate” dai gruppi dirigenti del partito in base a particolari vincoli di fedeltà.

Così, per formulare un esempio, se una lista ottiene un totale nazionale di voti pari a 100 deputati, nessuno dei candidati scelti dagli elettori dal 101 in poi con il voto di preferenza potrà essere eletto alla Camera, perché tutti i posti disponibili sono stati esauriti.

Ora poiché il premio di maggioranza previsto dall’Italicum attribuisce al partito vincitore delle elezioni 340 deputati su 630, tutti i partiti della minoranza potranno portare alla Camera nel loro insieme complessivamente 290 deputati, e, quindi, ciascuno solo una quota di deputati intorno a 100 o ad un sottomultiplo di cento.

Il che significa che entreranno alla Camera per le minoranze solo i capilista bloccati, nominati dai capi partiti. Nessuno o quasi dei candidati scelti dagli elettori oltre i cento con i voti di preferenza, farà ingresso in Parlamento.

Ne consegue che ben due terzi dei cittadini italiani votanti, tanti quanti sono rappresentati dalla somma dei partiti della minoranza nell’attuale panorama tripolare nazionale, saranno di fatto privati del diritto di scegliere i propri rappresentanti alla Camera.

3

Il congegno dei cento capilista bloccati, unito ad altri, consegue poi l’ulteriore risultato di realizzare una sostanziale abolizione della separazione dei poteri tra legislativo ed esecutivo.

© 2016 Renato Corpaci - Tutti i diritti riservati
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Per spiegare come ciò si verifichi, occorre comprendere come opera il combinato disposto della riforma e dell’Italicum.

L’articolo 2 comma 8 dell’Italicum stabilisce: “I partiti o i gruppi politici organizzati che si candidano a governare depositano il programma elettorale nel quale dichiarano il nome e il cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica”. In questo modo il voto per la forza politica “che si candida a governare” è anche il voto per il “capo della forza politica” che si candida a divenire il capo del governo, in contrasto con l’art. 92 della Costituzione, rimasto inalterato, che ne affida la nomina al Presidente della Repubblica sulla base delle indicazioni dei gruppi parlamentari. Come è stato osservato, sarà ben difficile non solo la nomina di una persona diversa, ma perfino la sfiducia, destinata inevitabilmente a provocare lo scioglimento della Camera.

4

Per giustificare la sostituzione della Costituzione vigente con una nuova Costituzione, i promotori della riforma si sono appellati ad argomenti che si rivelano non ancorati alla realtà e che, proprio per questo motivo, suscitano, a mio parere, serie perplessità, giacché se le ragioni della riforma dichiarate non sono radicate nella realtà, se ne deve dedurre che vi sono altre ragioni che non si ritiene politicamente pagante esplicitare.

A) Questa riforma sarebbe finalizzata a tagliare i costi della politica.

Quanto all’inconsistenza di questo argomento – cioè lo scopo di tagliare i costi della politica – non ritengo di dovermi soffermare. La Ragioneria dello Stato in una relazione trasmessa al Ministro per le riforme in data 28 ottobre 2014 ha stimato il risparmio di spesa conseguente alla riforma del Senato pari a 57,7 milioni di euro, una cifra ridicola rispetto al bilancio statale, e che potrebbe essere risparmiata in mille altri modi con leggi ordinarie senza alcuna necessità di stravolgere la Costituzione. Per esempio tagliando i costi della corruzione, i costi della evasione fiscale, invece di tagliare la democrazia.

B) La riforma è necessaria ed urgente per risolvere i problemi del paese, in quanto il bicameralismo paritario determina una patologico rallentamento del processo legislativo, ed in quanto l’attuale assetto costituzionale impedisce una governabilità del paese agile, flessibile, necessaria per reggere le sfide della globalizzazione.

In questa legislatura sono state sino ad oggi approvare 250 leggi di cui ben 200, pari all’80%, senza navetta parlamentare e solo 50 pari al 20% con rinvio di una Camera all’altra, a seguito di modifiche. I tempi medi approvazione delle leggi sono i seguenti: ogni legge ordinaria viene approvata in media fra Camera e Senato in 53 giorni; ogni decreto viene convertito in legge dalle due Camere in 46 giorni; e ogni legge finanziaria passa, con la "doppia conforme", in 88 giorni.

È pur vero che vi sono leggi che invece sono state approvate in tempi molto lunghi. Ma se si approfondisce l’analisi si comprende bene che le ragioni di questi tempi lunghi non sono attribuibili al bicameralismo paritario, ma a ben altre ragioni di ordine politico non sempre commendevoli. La legge sulla corruzione, per esempio, ha ottenuto il via libera dal Parlamento dopo ben 1546 giorni.

5

Quali sono dunque le reali cause che ostacolano la governabilità nel nuovo scenario macro politico e macroeconomico venutosi a creare nella seconda repubblica per fattori nazionali e internazionali verificatisi dalla seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso?

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Quali sono gli strumenti indispensabili per governare la politica economica di un paese? Sono essenzialmente tre.

  1. La potestà monetaria, cioè il potere di emettere moneta e obbligazioni di Stato.

  2. La potestà valutaria, cioè il potere di svalutare la moneta nazionale in modo da fare recuperare margini di competitività all’economia nazionale nei periodi di crisi.

  3. La potestà di bilancio, cioè il potere di finanziare il rilancio dell’economia mediante spesa pubblica in deficit, senza attenersi alla regola del pareggio tra entrate ed uscite. In assenza di questa fondamentale cassetta degli attrezzi, non è possibile governare la politica economica di un paese.

La politica, o meglio la democrazia, ha abdicato al suo ruolo, quando ha consegnato gli strumenti della sovranità a ristrette oligarchie arroccate in centri decisionali impermeabili alla volontà popolare, ma fortemente permeabili ai diktat dei mercati, o meglio alle potenze economiche che governano i mercati.

Una esemplificazione concreta e recente dei risultati di questa abdicazione della politica al potere economico e dei modi nei quali oggi viene gestito il potere reale si ricava dall’esame della lettera strettamente riservata che in data 5 agosto 2011, il Presidente della Bce inviò al Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, dettandogli una analitica agenda politica delle riforme che il governo ed il Parlamento italiano dovevano approvare, specificando anche i tempi e gli strumenti legislativi da adottare.

Dalla riforma della legislazione sul lavoro, alla riforma della contrattazione collettiva, alla riforma delle pensioni sino alle privatizzazioni e alla riforma della Costituzione, è una summa del pensiero e delle strategie neoliberiste.

È impressionante verificare a posteriori come quell’agenda politica sia stata puntualmente realizzata – dalla riforma Fornero sino al Jobs Act – dai tre governi che si sono susseguiti dal 2011 ad oggi, e da maggioranze parlamentari composte in larga misura da persone nominate da ristretti vertici di partito.

La vicenda in parola dimostra quanto siano infondate tutte le argomentazioni dei sostenitori del Si secondo cui la Costituzione va riformata perché quella attuale rallenta l’iter legislativo e impedisce la governabilità.

Tutte le leggi indicate dalla BCE sono state approvate in tempi rapidissimi con un doppio passaggio parlamentare. La Salva-Italia di Monti e Fornero fu approvata in appena 16 giorni.

La legge costituzionale sul pareggio di bilancio obbligatorio fu approvata addirittura in cinque mesi (con quattro votazioni Camera-Senato-Camera-Senato).

6

Oligarchie partitiche insediate al governo e in grado di controllare il parlamento, possano divenire la cinghia di trasmissione della volontà politica di centri decisionali esterni ai luoghi della rappresentanza popolare, attraverso itinerari informali che si sottraggono alla visibilità democratica.

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Nella relazione che accompagna il disegno di legge di riforma costituzionale, si legge testualmente che questa riforma risolverà tutti i problemi del paese, rimediando:

  • l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea e alle relative stringenti regole di bilancio”
  • le sfide derivanti dall’internazionalizzazione delle economie e dal mutato contesto della competizione globale”

In altri termini l’abrogazione del diritto dei cittadini di eleggere i senatori e, in buona misura, i deputati, nonché il travaso di potere dal Parlamento al Governo che costituiscono il cuore e il nerbo della riforma, vengono invocati per assicurare la migliore consonanza ai diktat della Commissione europea, della Bce e alle pretese dei mercati. In nome della esigenza di una totale subordinazione della politica all’economia.

La Costituzione del 1948 resta, oggi come ieri, l’ultima linea Maginot per la difesa della democrazia e dei diritti.

Roberto Scarpinato
Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Palermo. Intervento al Seminario di studi sulla Riforma della Costituzione svoltosi al Palazzo di Giustizia di Palermo il 22 novembre 2016.

Originariamente apparso su «Micromega» il 24 novembre 2016

(1) Gustavo Zagrebelsky (giurista, giudice costituzionale dal 1995 al 2004 e presidente della Corte costituzionale nel 2004)

(2) Valerio Onida (giurista, giudice costituzionale dal 1996 al 2005, Presidente della Corte costituzionale dal 22 settembre 2004 al 30 gennaio 2005 e professore di Diritto Costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano)

(3) Annibale Marini (giurista, presidente della Corte costituzionale dal 10 novembre 2005 al 9 luglio 2006)

(4) Paolo Maddalena (giurista e magistrato italiano, che ha ricoperto l'incarico di giudice costituzionale).

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