Sineddoche, New York

 • Un film mi viene in mente guardando Sineddoche New York: Fellini 81/2 . E un libro: La vita, istruzioni per l’uso, di George Perec. Inutile dire che nulla hanno in comune l’uno con l’altro. Totalmente diversi, a parte la simbolica riflessione del personaggio su se stesso e l’osservazione scientifica dell’umanità.


Riguarda ciascuno di noi

Sineddoche, New York
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Sineddoche, New York
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Sineddoche, New York
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Charlie Kaufman
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Sineddoche, New York

Due citazioni eccellenti all’inizio del film seguono il risveglio di Caden e i primi istanti della sua giornata. Giorno d’autunno di Rainer Maria Rilke viene letto e commentato in sottofondo alla radio.

Chi è solo a lungo solo dovrà stare,
leggere nelle veglie, e lunghi fogli
scrivere, e incerto sulle vie tornare
dove nell'aria fluttuano le foglie

Qualche istante più tardi Candem legge la notizia del Nobel ad Harold Pinter. È il 14 ottobre 2005.

Il film è estremamente denso, dal primo fotogramma all'ultimo. Impossibile cogliere tutto quello che c'è se non attraverso un'analisi accurata. Occorre prendere in considerazione di vederlo più volte, se siete quel tipo di persone. Comunque, merita.

Questa è la storia. Un regista, Caden Cotard – impersonato dal prematuramente scomparso Philip Seymour Hoffman – finisce di mettere in scena Morte di un commesso viaggiatore in un teatro di Schenectady, una città dello stato di New York. La rappresentazione riscuote un enorme successo, ma, contemporaneamente, la relazione di Caden con la moglie Adele, un’apprezzata artista figurativa, si va sgretolando. Anche la salute di Camden ha dei sobbalzi, non si sa quanto psicosomatici; certamente strani. La donna si trasferisce con la figlia di quattro anni a Berlino, lasciando Camden affranto tra le braccia dell’impiegata del botteghino di Schenectady: Hezel.

La regia del dramma di Arthur Miller procura a Camden una certa notorietà e il ricco Premio MacArthur, con l’incoraggiamento di continuare a impegnarsi nella sua promettente carriera. Il finanziamento implicito nel premio gli permette di affittare un immenso teatro di posa a Manhattan e di metter in scena un progetto che si prefigge di rappresentare la vita in scala 1:1.

Rivolgendosi ai suoi attori, Camden dichiara gli obiettivi.

«Morirò, prima o poi, e succederà anche a voi. Questo voglio esplorare. Siamo proiettati verso la morte, pur essendo, per il momento, vivi. Ciascuno di noi sa che dovrà morire, ciascuno ignorando, in cuor suo, che succederà.»

Inizialmente i personaggi devono rappresentare se stessi, ma sempre più consistentemente, gli attori vengono assunti come “doppio” di qualche altro attore: l’Arte che imita l’arte che imita la vita...

Ben presto l’iniziativa assume proporzioni gigantesche. Passano gli anni e il progetto è incapace di concretizzarsi in una qualche rappresentazione davanti al pubblico. Vive di vita propria. Supera i confini stessi del teatro di posa, la produzione si confonde con il resto della città. Si stabiliscono bizzarre relazioni tra gli attori: la finzione invade la vita reale e viceversa.

«Non so perché lo faccia così complicato».
«Perché questo è quello che fai».

Sineddoche, New York è un film non facile. Charlie Kaufman, autore di alcune pregevoli sceneggiature come Being John Malkovich (1994), Confessions of a dangerous mind (2002) ed Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004) – tra gli altri – con questo testo si è lanciato nella regia. Dicono lo abbia fatto perché impossibilitato ad avere la collaborazione del regista Spike Jonze.

Nonostante il film non metta in evidenza lacune palesi – anzi, l’impresa è da considerarsi ampiamente riuscita per essere un debutto e, tanto più, in un progetto così complesso – a volte ci si chiede se ne sarebbe venuto fuori qualcosa di più “lieve” in mano a un regista come Jonze o Michel Gondry, maestri dell’ironia e della leggerezza.

L’atmosfera riflette lo stato d’animo del protagonista, la sua profonda depressione, l’ansia di morte. La consapevolezza crescente di come le relazioni tra le persone siano strumentali. Di come ognuno cerchi di irretire le persone intorno a sé per indirizzarne le azioni a proprio vantaggio e di come sia facile perderne il controllo, con conseguenze che possono essere catastrofiche per la visione che ciascuno ha della propria vita.

«Tutti finiscono col deluderti – riflette Adele – più li conosci».

I cast è stellare. Philip Seymour Hoffman è struggente nei panni del regista Camden Cotard. Catherine Keener è Adele, la moglie di Camden. Michelle Williams è Claire Keen, la seconda moglie. Samantha Morton è Hezel, con cui Camden cerca d’instaurare un’impossibile amicizia, dato che la donna è innamorata di lui. Jennifer Jason Leigh é Maria, l’amica di Adele che Camden crede abbia un’influenza negativa sulla moglie e, soprattutto sulla figlia. Dianne Wiest è Hellen, la donna delle pulizie che prenderà il posto di Camden alla regia, mentre lui assumerà il ruolo di Hellen, come “donna” delle pulizie di Adele.

La musica di Jon Brion aggiunge un tocco di melanconia a un’opera non certamente radiosa. I testi dei brani sono dello stesso Kaufman.

Il film è stato presentato al Festival di Cannes 2008 dove ha riscontrato un discreto successo di critica (e la nomination per la Palma d’Oro) ma non ha veramente mai avuto la possibilità di ottenere un’adeguata distribuzione, a causa delle vicende che hanno interessato la proprietà dei diritti. La triste, solitaria morte di Philip Seymour Hoffman, nel febbraio 2014, aggiunge pregnanza all’opera e ne ha permesso un tardivo secondo lancio.

Una parola riguardo al titolo, che fa riferimento a una figura retorica per cui, nominando una parte, si intende il tutto: “vela” per imbarcazione, per intenderci. Sinèddoche (synecdoche) è, più che una transitterazione, una storpiatura del toponimo Schenectady, la cittadina in cui tutta questa storia ha origine. Così, Schenectady, New York diventa, per sineddoche, rappresentazione del mondo intero.

Da qui la citazione più significativa di tutta l’opera:

«Ora so cosa fare. Al mondo ci sono tredici milioni di persone. Nessuno è una comparsa. Tutti sono i protagonisti della propria storia personale. Bisogna dar loro credito.»

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