• Allora. Le cose stanno così. Un ragazzo, un uomo, mi ha chiesto di intervistarmi. La richiesta insieme mi lusinga e mi infastidisce perché mi obbliga a dargli retta a detrimento di impegnative attività. Ovviamente non voglio disgustarlo.
Mi ricordo dagli anni di ItaliaLibriNET che gli scrittori rispondevano con una cortese riluttanza alle nostre richieste di intervista. Si può capire. Il tempo è quello che è e uno scrittore è sempre combattuto tra restare a letto ancora un'oretta o balzare in piedi a soddisfare l'urgenza di stendere un pensiero fugace. In certi momenti non c'è tempo per fare altro.
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Claudio Magris ricordava una volta come uno scrittore di successo tra apparizioni in tv, richieste di articoli sui giornali, interviste, partecipazioni ad eventi si trovi nella condizione peggiore per portare avanti un impegnativo progetto letterario.
Non è il mio caso, che dal “successo” sono sempre stato alla larga con ammirevole assiduità. Tuttavia perseguo una serie di attività arbitrarie piuttosto variegata e appagante.
Col tempo la mia socia ed io c'eravamo accorti che gli scrittori più affermati (e quindi più “gettonati”) tenevano un taccuino con le risposte alle domande ricorrenti. La sfida tra noi e loro era di porre delle domande “originali”. Credevamo di stimolarli, invece rispondevano con insofferenza, è chiaro. Li costringevamo a pensare. Certe domande però, lo ammetto, più che originali erano proprio stupide.
Una volta, Dacia Maraini a una nostra domanda fantasiosa rispose roma per toma. Era chiaramente un caso di “copia e incolla” a vanvera. Una risposta precisa non c'era; quella era la cosa più simile. Glielo facemmo notare ma non ci degnò più di una risposta.
Il momento migliore per andare a importunare uno scrittore con una richiesta d'intervista è quando ha appena pubblicato un libro e lo sta lanciando. L'intervista più bella, a mio parere, fu quella che ci rilasciò Tiziano Terzani che aveva appena pubblicato “Lettere contro la guerra”. Anche lui però si preparava le risposte, anche se poi le interpretava con trasporto.
Una cosa che ho capito da Terzani è che gli scrittori non amano parlare dei loro colleghi contemporanei. Le motivazioni sono molteplici: gelosia, diplomazia, discrezione, ignoranza... I loro gusti letterari attingono sempre al passato.
L'intervista più lunga è quella che ci rilasciò Vincenzo Consolo. In realtà avrebbe dovuto farla la mia socia. Invece lei ci andò una volta e poi dovetti tornarci io più volte perché lei doveva preparare la tesi.
Cominciavo già a essere stressato perché facevo troppe cose diverse e nessuna che potessi dire di saper fare veramente. ItaliaLibriNET era un progetto elettrizzante, ma tutto da inventare. L'intervista durò diversi giorni e la mia insofferenza dovette trasparire, perché alla fine Consolo ed io non ci parlammo più.
A un certo punto gli chiesi di rendere conto della sua militanza politica e pronunciai il termine “faziosità”. Si arrabbiò per davvero e credetti che mi avrebbe buttato fuori a calci. La cosa buffa è che il registratore non si avviò e quindi non registrò l'incontro. Avrei voluto sprofondare. Dovetti ritornare a porgli quella stessa domanda. A quel tempo avevo del fegato.
Questa volta si era preparato e mi rispose in maniera più pacata, ma la luce nei suoi occhi era acuminata come la lama di una spada.
Una delle mie collaboratrici parlò con Roberto Saviano che era molto amico di Consolo e da lui seppe che Consolo di noi aveva detto che «La ragazza sembrava intelligente».
L'ultima volta che vidi Consolo, fu fuori dall'appena inaugurato Museo del Novecento. Stentai a riconoscerlo. Era molto invecchiato e sembrava più piccolo. Lui mi guardò e mi riconobbe, ma non si fermò. Di lì a poco morì.
Ho pensato più volte che dovrei fare un libretto di quell'intervista. Un giorno o l'altro forse lo farò.