• “Governance” è una parola inglese derivata dal latino “gubernantia” che è molto di moda da quando le società di consulenza l'hanno introdotta, intesa come “good governance”, nel lessico del loro materiale promozionale. Si riferisce a tutti quei processi di gestione svolti da un governo, all'interno di un mercato o nei limiti di una rete di relazioni, sia che si tratti di una famiglia, una tribù, un'organizzazione o un territorio, avvalendosi di leggi, norme, poteri o linguaggi.


Vediamo come la parola “governance” si applica alle vicende di un nuovo museo milanese: il MUDEC (MUseo DElle Culture).

© 2015 Renato Corpaci - Tutti i diritti riservati © 2015 Renato Corpaci - Tutti i diritti riservati
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Fino a oggi noto ai milanesi solo per l'interminabile opera di ristrutturazione del sito di via Tortona 56 e per l'esacerbata quanto misteriosa polemica con l'architetto Chipperfield, il MUDEC esordisce con due mostre, di cui una splendida (Africa. La terra degli spiriti) e una pertinente con la concomitanza dell'EXPO (Mondi a Milano. Culture ed esposizioni) che promettono di aiutarci a capire culture che la maggior parte di noi conoscono solo “per sentito dire” ma che riguardano popoli e persone con cui sempre più frequentemente entriamo in contatto. È forse l'inizio di quel fenomeno di contaminazione che si riscontra durante i periodi di decadenza delle società, in cui i popoli colonizzati cominciano a influenzare i colonizzatori.

Polemica che tanto misteriosa poi non è. Da una parte l'archistar – che sta occupandosi, tra le altre cose, dell'ampliamento del MOMA di New York – rifiuta, non senza una certa arroganza, di associare il proprio nome alla realizzazione del progetto, a causa delle finiture, a suo dire, difformi dalle specifiche; dall'altra, il Comune si rifugia dietro al proposito di affidarsi al responso della commissione ufficiale che valuta la conformità delle realizzazioni ai progetti. Certo, i contribuenti milanesi rischiano di dover affrontare due prospettive, entrambe spiacevoli: accollarsi il rifacimento di tutti i pavimenti per un'area di 17.000 metri quadrati o di aver pagato la “firma” di un architetto di grido senza neanche poterla sfoggiare nella documentazione promozionale della città. Governance no buona.

Fatto sta che tra i numerosi ringraziamenti pronunciati con generosa eloquenza dal tavolo dei rappresentanti durante la conferenza stampa di presentazione, il nome taciuto è proprio quello dell'architetto. Sembrava che nessuno ne sentisse la mancanza, fino a quando una soave vecchietta non ha chiesto il microfono e ha candidamente dichiarato: «Vorrei sapere qualche cosa di Chipperfield».

Filippo Del Corno, che faceva gli onori di casa quale rappresentante della giunta, incalzato da una secondo intervento non proprio benevolo, si è dapprima trincerato nel più perfetto burocratese, per poi uscire allo scoperto con una risposta articolata che ha messo in luce il talento oratorio dell'assessore alla Cultura e ha tolto, tra gli applausi, il Comune dalle corde a cui era improvvisamente stato messo. Buona governance.

Il MUDEC fa parte della gravosa “eredità” trasmessa dalla nefanda giunta del sindaco precedente, a cui si deve anche l'EXPO, il macroscopico fenomeno della speculazione edilizia della Fiera e di Porta Garibaldi, la camorra negli appalti e gli scandali per corruzione. A proposito di “governance”.

Il museo è stato voluto da Salvatore Carrubba, un uomo serio, un accademico, assurto per breve tempo a far parte di quella giunta e di quella cerchia di persone a cui non apparteneva e che ha ben presto lasciato, sostituito da un personaggio più consono.

Detto questo, la “governance” del MUDEC, stando alle dichiarazioni ufficiali, è ripartita tra il Comune di Milano che gestisce la collezione permanente e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, che si occupa delle esposizioni temporanee. Speriamo di non scoprire in seguito che si tratta di uno di quei casi di “governance” in cui il privato incassa i profitti e il pubblico si accolla le perdite.

Sottinteso, “bad governance”.

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