• Una canzone per Bobby Long (A Love Song for Bobby Long) è un film del 2004 diretto dall'esordiente Shainee Gabel, con John Travolta, Scarlett Johanson e Gabriel Macht. È un film con una forte valenza letteraria. Non solo per il fatto di essere tratto da un romanzo di Ronald Everett Capps (Off Magazine Street), ma perché costellato da continue citazioni dai classici e da celebri autori.
«Il tempo non era mai stato amico di Bobby Long. Cospirava contro di lui, facendogli credere in una natura generosa, ma poi derubandolo ogni volta. Avevamo perso Lorrain, tutti noi, non molto prima che morisse.»
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Così inizia Una canzone per Bobby Long, con un uomo che esce da un bar con una bottiglia aperta avvolta in un sacchetto di carta per recarsi a un funerale. È un film sull'abiezione causata dall'alcol e anche un film sul riscatto che può scaturire dall'amore tra le persone.
Gran belle parole. Sì, Una canzone per Bobby Long è anche un po' enfatico, pieno di affermazioni retoriche. Insomma, non è un capolavoro ma, superato il primo impatto, in cui si nota che i personaggi sono un po' legnosi, come se il ruolo di alcolisti cronici stesse a tutti un po' stretto, forse anche grazie alla musica di Nathan Larson, calda e intensa, si viene risucchiati dal vortice degli avvenimenti e si fluisce insieme alla pellicola, lentamente verso il lontano finale.
Lorrain Will, defunta all'inizio del film, è stata un'apprezzata cantante country. Non una celebrità, e neppure un genio, ma un'artista appassionata, afflitta dall'alcolismo che l'ha portata ad alienarsi la figlia adolescente. Una donna capace di inoculare nella musica sufficiente sentimento da incantare la platea di debosciati alcolisti di provincia come lei.
«New Orleans è una sirena, tentatrice. Un posto da favola. Un'illusione. Un posto da cui Lorrain era dovuta fuggire e dove io e Bobby c'eravamo rifugiati. Lontano dall'Alabama. Lontano da vite che ormai non ci appartenevano più.»
Dissoluzione, sì. Si assapora un passato catastrofico, e la debolezza che trasuda da tutte le storie di alcolismo.
Sicché, la figlia di Lorrain, Purslane Will (la ventenne Scarlett Johansson ha quasi vinto un Golden Globe per questo ruolo), che ha passato l'infanzie con la nonna finché questa è vissuta, arriva in un sobborgo di New Orleans a prendere possesso della casa della madre e la trova “infestata” da due alcolisti che ne reclamano la co-proprietà: un terzo, un terzo, un terzo.
All'inizio il menage è difficoltoso, per non dire impossibile. La piccola Purslane, incazzata con il mondo per come reputa di essere stata trattata dalla propria madre, emana aggressività e moralismo senza possibilità di replica. Poi, come sbucati da una nebbia etilica, progressivamente appaiono i libri. La casa ne è tapezzata. La stessa Lorrain ne ha lasciato una valigetta alla figlia, dove ha raccolto le opere più significative.
La maggior parte dei libri però appartengono a Bobby Long (John Travolta) che, si scopre, è stato un professore di letteratura. «Anche bravo» specifica Lawson Pines (Gabriel Macht), il terzo incomodo di questo triangolo impossibile. Lui, di Bobby è stato assistente universitario prima che complice in autodistruzione.
Il melodramma continua stimolando lo spettatore con diversi interrogativi: che tipo di relazione lega i due uomini? Che tipo di relazione li univa a Lorrain? Cosa li tormenta, del passato, così tanto da giustificare il loro stile di vita attuale? Cosa è successo a Lorrain? Perché ha abbandonato Purslane? Chi è il padre della ragazza? Si libererà la piccola dei due incomodi ospiti? Resterà a New Orleans o abbandonerà il campo ai due balordi? Venderà la casa? Finirà il liceo? Andrà al college? Riuscirà finalmente a riconciliarsi con il ricordo della madre? Scoppierà qualcosa tra lei e l'affascinante, quanto perso, Lawson Pines? Riuscirà la piccola comunità di relitti umani che ruota intorno a Bobby e a Lawson a conquistare il cuore di Purslane? È possibile una redenzione che coinvolga tutti i personaggi?
Lentamente, tra una canzone e l'altra (piacevoli), mentre tutti i nodi vengono al pettine, tutte le domande trovano una risposta.
«Omnia vincit amor et nos cedamus amori», scriveva Publio Virgilio Marone. Questa citazione tuttavia non compare tra le numerose esibizioni di erudizione del film, che i due incalliti protagonisti maschili amano gettarsi l'uno in faccia all'altro. La più significativa è:
«Noi non cesseremo la nostra esplorazione, e la fine di tutto il nostro esplorare sarà giungere la dove siamo partiti, e conoscere quel posto per la prima volta.» (Thomas Stearns Eliot)
Che è anche, in una buona sintesi, quello che il film si propone di significare. Tuttavia, giunti ai titoli di coda, non si può fare a meno di domandarsi come il film avrebbe potuto essere più credibile, più commovente, più struggente e intenso, nelle mani di un regista più abile di Shainee Gabel, il cui lavoro prevalente è scrivere sceneggiature. Per quanto si percepisca che questo suo primo (e ultimo) film in fondo non sia stato per Gabel che un pretesto per trattare, non sempre a proposito, tutte le cose che le stanno a cuore (la musica, la letteratura, le atmosfere assolate della Louisiana, Scarlett Johansson e John Travolta...) non si può dire che il film sia un fallimento totale.
Se l'opera è venuta così-e-così, perché parlarne? Perché non ignorarla del tutto?
Ebbene, ciò non di meno, se siete delle persone pazienti, se vi piacciono i libri e vi piace la musica country, se apprezzate Scarlett Johanson e John Travolta, apprezzerete anche Una canzone per Bobby Long per quello che è, come si apprezza un romanzo che si legge dopo averlo salvato dal macero...
...o, se è per questo, come si apprezza anche un essere umano uscito dal tunnel della dipendenza.