• La più antica testimonianza dell'origine dell'abbazia di San Pietro al Monte si deve al cappellano di Giovanni Visconti, signore di Milano. Il racconto del domenicano Galvano Fiamma (1283– Milan 1344), probabilmente trascritto da un più antico documento, pecca forse di eccessiva poesia. Racconta di come Desiderio, re dei Longobardi, fosse giunto a Civate (l'antica Clavis romana) e vi si si fosse insediato per una breve vacanza.
Durante il soggiorno, il figlio Adelchi uscì per una battuta di caccia sul monte Cornizzolo, imbattendosi finalmente in un pugnace cinghiale. Dopo un serrato inseguimento in salita, l'animale uscì allo scoperto in una radura e si rifugiò nel piccolo oratorio edificato da un eremita di nome Duro, andando ad accucciarsi ai piedi dell'altare e ponendosi così, a detta del cappellano, sotto la protezione di San Pietro.
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Il giovane, nell'impeto dell'inseguimento, fece irruzione nell'edificio ma, come in preda a un sortilegio, ebbe quello che oggi si definirebbe “un abbassamento di pressione” e sprofondò in una temporanea cecità. Suggestionato dagli esiti del leggero collasso, dalle esortazioni concitate del vecchio eremita e dalle orazioni al cielo di quanti accorsi al suo seguito, il giovane promise, se avesse riacquistato la vista, di innalzare in quel luogo un tempio molto più imponente, ricco di decorazioni e di reliquie del Santo.
Può darsi anche che lo stesso imperatore, consigliato dal precettore della figlia Adelperga, Paolo Diacono, per la preoccupazione dello stato di Adelchi, abbia espresso in voto la promessa di edificare l'abbazia. Una lapide sotto il pronao di San Pietro al Monte lo cita. Del resto, la sua opera, Carmen Larii, suggerisce che l'erudito monaco longobardo possa essere passato da qui.
Non si sa se sia andata veramente in questo modo, tuttavia, arrivando nella radura sopra Civate, al termine di un'erta mulattiera che per circa 500 metri s'inerpica nella Valle dell'Oro, a quota 630m, giunti al cospetto dell'Abbazia di San Pietro, la cui fondazione la leggenda di cui sopra pone nell'VIII secolo d.C., non si può fare a meno di rimanere stupefatti per la grandiosità dell'edificio in rapporto all'isolamento e alla selvaticità dell'ambiente.
Fonti solo un poco più certe tramandano che a occuparsi della ricostruzione di San Pietro siano stati due abati di origine franca, pervenuti a Civate al seguito dell'imperatore Lotario. Leodegario ed Ildemaro avrebbero agito in tal senso in un'epoca di poco successiva all'840 d.C..
Fatto sta che al termine della poco agevole ascesa, passati oltre il modesto portale che interrompe il muretto di delimitazione dell'area, non è difficile immaginare il luogo circondato da cavalcature e da cavalieri longobardi e franchi raccolti in meditazione durante una pausa della caccia.
L'abbazia occupa quasi interamente il prato in discreta pendenza, in uno sviluppo da Ovest a Est. La parete che delimita a meridione l'unica navata è interrotto da sette piccole finestre centinate e da un portale laterale, mentre l'abside occidentale si protende verso il monte. Un ampio atrio tondeggiante, illuminato da bifore, circonda l'abside orientale da cui è ricavato il pronao nel quale si apre il portale d'ingresso. Quest'atrio si affaccia sulla valle e sui laghi sottostanti al termine di una scalinata che può essere percorsa a cavallo, nello stile cavalleresco, permettendo ai cavalieri di assistere alla messa attraverso le quattro piccole aperture che dal deambulatorio comunicano con la navata, senza abbandonare le cavalcature, alla moda dei cavalieri templari (vedi anche El Convento de Cristo a Tomar) e che all'occorrenza può trasformarsi in uno spalto da cui difendersi contro gli assalitori.
La superfice sovrastante il portale d'ingresso è caratterizzata da un affresco raffigurante il Cristo nell'atto di consegnare a San Pietro le chiavi e a San Paolo le leggi (Traditio legis et clavis).
Sopra il nartece è raffigurata una scena dell'Apocalisse in cui San Michele e gli angeli trafiggono il dragone. Nel breve corridoio, tra le colonne tortili che sorreggono il nartece, figure a stucco del Grifone e della Chimera, simboli del male, sono colti mentre fuggono dalla chiesa.
San Pietro vescovo è rappresentato con le chiavi sulla parete destra dell'unica navata.
Il presbiterio è delimitato da due scalini che fanno ala all'altare sormontato dal ciborio composto da quattro colonne con capitelli sormontate da altorilievi in stucco.
Tre ulteriori scalini, alle spalle dell'altare, portano all'abside occidentale.
Il triabsidato Oratorio di San Benedetto, la cui edificazione risale intorno al XII secolo – già tempi di aspra contesa tra Guelfi e Ghibellini – si erge compatto al termine dell'ampia scalinata.
Dall'altro lato, la parete settentrionale è caratterizzata dall'aperture di due sole finestre, di un piccolo portale atto a consentire probabilmente l'accesso in chiesa ai monaci durante i riti mattutini e di una tettoia atta ad ospitare attrezzi, vettovaglie o armenti. L'edificio monacale, oggi disabitato, è sicuramente di costruzione più recente, essendo il convento originale andato distrutto, vittima degli abusi della Storia.
Il panorama che si gode da qui è mozzafiato. Anche oggi che la megalopoli estende i suoi tentacoli nelle le valli tra Milano, Como, Lecco e Bergamo, all'imbrunire di una giornata tersa, la visione di migliaia di piccoli lumi che insieme a una luna saracena competono con la luminosità del tramonto, può lasciare indifferenti solo gli spiriti più abietti.