• A ispirare Joseph Conrad a scrivere I duellanti (1908, o Il duello, come originariamente era intitolato il racconto portato alla ribalta dal film di Ridley Scott) fu un breve trafiletto in un quotidiano di provincia che raccontava di uno di questi episodi galeotti isolandolo dal numero di simili aneddoti per la sua singolarità, e convinse l'autore a farne il soggetto di un racconto.
L'articolo riportava la storia incredibile di due ufficiali napoleonici, François Louis Fournier and Pierre Dupont, che, nel corso di vent'anni, si fronteggiarono armati in 17 duelli.
La trama del racconto che Conrad ne fece attraversa sedici anni di Storia e può essere interpretato come una metafora del passaggio sull'Europa della cometa napoleonica, il generale che costrinse praticamente tutte le teste coronate d'Europa a confrontarsi militarmente con lui. Ciò avvenne senza un reale costrutto, dato che all'indomani del Congresso di Vienna (1815) – che sancì il nuovo ordine europeo dopo Waterloo – le cose erano all'apparenza assai poco cambiate rispetto all'epoca pre-rivoluzionaria.
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Come l'autore sottolinea nell'incipit del racconto, Napoleone non si curava della tradizione e non tollerava che i suoi ufficiali si scannassero l'un l'altro, preferendo riservare in esclusiva a se stesso il potere di vita o di morte sugli uomini che comandava. L'imperatore sanzionava perciò severamente questi comportamenti insensatamente aggressivi che gli ufficiali si dimostravano reciprocamente.
Tuttavia, l'aggressività, coltivata nell'ambiente militare come una virtù, e il concetto d'onore, conservato con altrettanto affetto tra i ranghi della gerarchia della Grande Armata, facevano sì che, nonostante la proibizione, occasionalmente si verificasse qualche esplosione di micidiale esuberanza che portava due aitanti giovani, altrimenti totalmente ligi al regolamento, a infrangere il divieto imperiale e ad incrociare le spade.
Occorre premettere che, prima dell'avvento di Napoleone Bonaparte, l'accesso al ruolo d'ufficiale nei ranghi della gerarchia militare fosse prerogativa esclusiva della classe nobiliare mentre, con il Generale , questa possibilità venne estesa ai ceti meno blasonati, valutando l'opportunità di avanzamento esclusivamente sulla base del merito.
Lo scontro a cui si assiste ne I duellanti è perciò anche uno scontro tra due opposti livelli d'educazione e tra il risentimento di uno dei due contendenti e l'altezzosità dell'altro. Due concetti dell'onore e della lealtà, uno rispettoso del proprio comandante, chiunque egli sia, l'altro fanaticamente devoto a Napoleone. Bisogna aggiungere per scrupolo di precisione, che i due protagonisti di questo bel racconto sono originari, l'uno della Piccardia (Nomandia), l'altro della Guascogna, nel Sud della Francia. Insomma, Joseph Conrad ha trasformato questi due personaggi negli epitomi di un epoca di conflitto, emblema anche – come si accennava in apertura – di due diverse indoli, ancorché prospettive della Storia, in un momento di grande innovazione, da una parte, di pervicace reazione dall'altra. Conrad, che proveniva da una famiglia della nobiltà polacca, non fa mistero di preferire il nobile d'Hubert.
La vicenda prende le mosse nel 1801, a Strasburgo. I due uomini, il tenente d'Hubert e il tenente Feraud – l'uno d'estrazione nobiliare, l'altro nato nella famiglia di un fabbro – s'incontrano per ragioni d'ufficio. D'Hubert è infatti stato incaricato dal comando di rintracciare il collega e di condurlo agli arresti di rigore nel suo alloggio, in conseguenza di un duello che è finito con la morte del nipote del sindaco della città occupata.
Indispettito per la punizione inflittagli dai superiori, Feraud ingaggia il collega in un duello, prima di tutto verbale, costringendolo ben presto a concedergli soddisfazione sul campo. Per non dare adito al sospetto che si sarebbe rifiutato di combattere per pavidità, d'Hubert è costretto a raccogliere il guanto. L'ironia di Conrad, di cui è intriso il racconto, scaturisce dall'assurdità della circostanza. In realtà, non c'è stata offesa; il motivo del duello è il duello stesso.
Con lo sviluppo della trama, si capisce che l'accanimento di Feraud è frutto di un'insofferenza per l'origine dell'avversario e l'uomo, nel corso degli anni, guardandosi bene dal dare una giustificazione della sua insensata mania omicida, per spiegare il proprio accanimento non esiterà a calunniare d'Hubert, dicendo che si nasconde dietro ai superiori, che fugge nella carriera dal duello e, come estrema ingiuria che «non ama l'Imperatore».
I personaggi condividono un codice d'onore che l'uno sventola sotto il naso dell'avversario per provocarlo; l'altro disapprova ma non può esimersi dal rispettare. Sicché d'Hubert attraversa i sedici anni di battaglie e il rischio reale di perdere la vita, con un'ombra supplementare, scura, minacciosa e persistente che periodicamente si ripresenta sul suo cammino.
Per quanto portato infine all'esasperazione, il vincitore del duello si comporterà con indulgenza con il vinto, dimostrando per lui un'affezione riservata di solito agli antagonisti che si sono odiati una vita intera, al punto di dare al proprio primogenito il nome dell'avversario.
Annotazione finale, è esemplare come l'autore abbia saputo condensare un soggetto complesso, una trama ricca di colpi di scena e sedici anni intensi di Storia in cento agili paginette (disponibile per le Edizioni e/o grazie alla traduzione di Leonardo Gandi) che si leggono facilmente in un pomeriggio. Ci riesce concentrandosi sui fatti personali dei personaggi mentre gli eventi storici scorrono sfuocati sullo sfondo.
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