• Per Raymond Chandler fu probabilmente il romanzo più difficile da scrivere di tutta la sua difficile carriera. Il film che da “Il lungo addio” fece Robert Altman è molto diverso, ne' potrebbe essere altrimenti: Leigh Brackett, la sceneggiatrice, ne stravolse la trama, capovolgendo situazioni, eliminando personaggi e scene che sarebbe stato complicato inserire in una produzione cinematografica già di notevole durata (112 minuti).
Philip Marlowe sembra essere stato preso di peso dagli anni '50 e scaraventato nei floreali anni '70, portandosi dietro l'abito scuro, la cravatta, il vizio del fumo che coltiva con assoluta devozione (unico personaggio) e persino l'automobile, una Lincoln Continental convertibile del 1948. Il suo romantico personaggio costituisce una consapevole incongruenza nel cinico ed egocentrico scenario californiano di quegli anni. Al contrario, Terry Lennox guida l'ultimissimo modello Ferrari Daytona convertibile (365 GTB/4), le vicine di casa sono un gruppo di sballate salutiste che praticano yoga sul balcone, a petto nudo e a tutte le ore del giorno e della notte e alla fine Marlowe si comporta in maniera completamente incongrua per il suo personaggio. Come dire «Hollywood da cui provengo era un inferno, ma questo schifo è troppo anche per un ragazzo tollerante come me!».
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In effetti, come molte pellicole firmate Altman, il film è un'amara satira del suo tempo e fu inizialmente accolto come “moralista” dall'ambiente hollywoodiano, ma la recitazione di Nina van Pallandt (nella parte di Eileen la moglie di Roger Wade) fu apprezzata. Dopo un'avvio difficoltoso, il film ebbe infine un certo successo nelle città meno americane degli Stati Uniti: New York, San Francisco e la stessa Los Angeles, sebbene venisse ignorato dal resto dell'America.
Robert Altman aveva messo insieme un cast improbabile: Eliott Gould (Philip Marlowe) era reduce da due anni di inattività, dopo che la produzione del suo ultimo film aveva dovuto essere interrotta a causa dei suoi eccentrici comportamenti. Sterling Hayden (Roger Wade) era sempre così ubriaco e fatto, che le scene in cui appariva non potevano essere girate che lasciando che improvvisasse le sue battute, con Gould che gli andava dietro. Magicamente quelle scene – complice il montaggio di Lou Lombardo – s'innestano perfettamente nel contesto generale. Jim Bouton, non un attore ma un giocatore di baseball professionista, recitava la parte di Terry Lennox. Eileen Wade era impersonata da Nina van Pallandt, un'aristocratica danese che, «più che recitare, incarnava la sacerdotessa balneare di Malibu» (Roger Ebert). Arnold Schwarzenegger appare brevemente come guardaspalle del gangster Marty Augustine (il regista e attore Mark Rydell). Henry Gibson, invece, che fa parte dell'entourage abituale di Altman, impersona un medico così cattivo che i biscazieri del film, al confronto, sembrano delle mammolette.
Beh, non proprio. Marty Augustine a un certo punto compie un gesto di una violenza inaudita, tanto da sorprendere tutti (pubblico, critica e gli stessi attori) per arbitrarietà ed efferatezza.
«Allora, quella è una che amo! (le ha appena spaccato una bottiglia di CocaCola sul naso) Tu, neanche mi piaci! Ti ho dato un incarico, pulcino: Trova i miei soldi!»
Geniale l'inserimento del difficile rapporto tra Marlowe e il suo gatto, impotente di fronte ai capricci del felino così come impotente il detective appare nei confronti di una storia che principalmente subisce. Come pure geniale è una battuta che il protagonista pronuncia una sola volta nel romanzo ma che Gould usa quasi come un intercalare, specialmente di fronte alle situazioni più paradossali: «È ok per me».
La colonna sonora è una delle cose meglio riuscite di tutta la produzione. Il tema The long goodby, composto da John Williams, si ripresenta ogni volta in un arrangiamento differente. Una volta persino suonato mestamente da una banda messicana che segue un funerale. Il motivo è di quelli che ti restano in testa e alla fine del film contribuisce a rendere il tutto struggente e indimenticabile.
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