Von Sacher Masoch, Venere in pellicciaIl progetto didascalico di Von Sacher Masoch era più vasto. Il retaggio di Caino doveva consistere in una serie di romanzi che affrontavano la storia della civilizzazione. Venere in pelliccia sviluppava il tema dell'amore.

Entriamo nel vivo.

Mi trovavo in dolce compagnia

Di fronte a me, vicino al massiccio caminetto rinascimentale, sedeva Venere, proprio lei, la Dea dell'Amore in persona e non una qualsiasi donnetta che, come Mademoiselle Cleopatra, avesse preso quel nome per combattere il sesso nemico.

L'incipit di Venere in pelliccia imposta immediatamente il tono del racconto: ci troviamo ad assistere a un incontro galante. Il «massiccio caminetto rinascimentale», oltre a dare un tocco di “gotico” all'ambiente, descrive il livello di almeno uno dei due interlocutori, ma la “signora” è di quelle femmine in grado di tener testa a qualsiasi rivale.

L'incontro, poi, senza mezzi termini, è impostato a lasciare uno dei due avversari al tappeto. Perché di questo si tratta: di un combattimento tra due antagonisti, anche se il match si basa sul piano delle emozioni e dei sentimenti e tocca i binomi – ma qui forse sarebbe più corretto definirle “antinomie” – maschio-femmina, caldo-freddo, bianco-nero, Nord-Sud, latino-teutonico, cristianesimo-paganesimo e, soprattutto, fedeltà-promiscuità. Persino la morbidezza della pelliccia bruna, indossata sopra un corpo marmoreo, si confronta con una candida durezza.

«Le sue argomentazioni, mia gentilissima...» osservai disarmato.

«Si basano su un'esperienza millenaria» rispose madame in tono di scherno, mentre le sue bianche dita giocavano con la pelliccia scura «Più la donna mostra dedizione, più rapidamente l'uomo diventa freddo e dispotico; ma più sarà crudele e infedele, più lo tratterà male, giocando con lui malvagiamente e senza misericordia, più lo infiammerà e ne sarà amata, venerata. È sempre stato così, dai tempi di Elena e Dalila, sino a Caterina II e a Lola Montez».

Il lettore non arriva a pagine 5 per scoprire che tutto quello che ha letto fino a quel punto non è che un sogno dal quale il protagonista viene svegliato dal proprio attendente cosacco, un sonno nel quale è sprofondato con un libro di Hegel accanto.

È tempo di muoversi. Un amico, Severin von Kusiemski, nobile galiziano, sta aspettando una visita.

Di questo personaggio, che è il vero protagonista maschile di Venere in pelliccia, sappiamo quello che ci racconta il narratore: un pazzo spericolato che...

Viveva secondo un minuzioso sistema tra il filosofico e il pratico, un misto di Ippocrate, Hufeland, Platone, Kant, Knigge e Lord Chesterfield, su cui si basava come se fosse non solo un orologio, ma anche un termometro, un barometro, un aerometro e un idrometro. Ma talvolta andava soggetto a violenti attacchi di passionalità durante i quali sembrava volere l'impossibile, e tutti preferivano evitarlo.

Una personalità complicata, insomma. Forse un pelo troppo pretenzioso per il gusto dispersivo e impaziente del lettore odierno, ma questo è quanto. Gentiluomo, tardo secolo XIX.

Il narratore riconosce in un quadro del suo ospite l'oggetto del suo recente sogno erotico e Severin confessa all'amico essere la donna il personaggio reale di una esperienza capitata a se stesso, un'esperienza che non esiteremmo a definire sado-maso, di cui egli tende all'amico fidato il resoconto riportato nel proprio diario.

«La vera musa comica è quella sotto la cui maschera ridente grondano le lacrime».

Questa citazione attribuita a Gogol, apre il racconto di Severin che parte dal proprio innamoramento per una statua di Venere, copia di una famosa scultura, presto sostituita con una donna in carne e ossa: la Principessa di Leopoli, una giovane donna di ventiquattr'anni, ricca e determinata: Wanda von Dunajew. Il pretesto dell'incontro tra i due è la restituzione di un libro: il Faust di Göethe, nel quale Severin ha lasciato, come segnalibro, un'immagine del quadro di Tiziano Vecelio raffigurante Venere in pelliccia – di nuovo lei – succintamente avvolta in una veste bordata d'ermellino. Sul retro della piccola stampa, l'uomo ha abbozzato una poesia e trascritto alcuni versi del Consigliere del Duca di Weimar.

La donna è inizialmente divertita ma incredula, davanti alla devozione e alle inclinazioni del suo corteggiatore, quindi progressivamente intrigata; infine, convinta a stare al gioco, al punto da stilare e a fargli firmare un contratto in cui lo spasimante s'impegna a servire la donna a bacchetta. Anzi, peggio: come uno schiavo.

Sarà una servitù densa di episodi di cocente umiliazione e perfino di molestie fisiche per l'uomo, il quale, nonostante i propositi di fuga, non smette di sentirsi sempre più vincolato dal contratto, ossessivamente innamorato e devoto alla propria aguzzina.

Le persone che non condividono tali abitudini sentimentali, troveranno il tutto sconcertante e indisponente per l'ingenuità di certe situazioni e per la banalità di certe battute. D'altra parte si tratta di perpetuare un meccanismo perverso, ma infantile, di dipendenza e di degradazione e gli adulti provano impazienza ad assistere mentre i loro simili si trastullano in giochi di bimbi.

L'epigrafe in frontespizio contiene un verso della Bibbia:

Dio lo ha punito e lo ha dato
in mano a una donna.
(Giuditta, XVI, 7)

Tuttavia, nella mia versione del Libro-per-antonomasia questo verso viene riportato così:

Il Signore onnipotente li ha rintuzzati
per mano di donna.
(Bibbia di Gerusalemme, Giuditta, XVI, 7).

Occorrerebbe sentire in proposito cosa sentenziano gli esegeti della Bibbia, ma risulterebbe sbalorditivo se un'opera così controversa e la perversione che prende il nome dal suo autore fossero scaturite da una cattiva traduzione e, in ultima analisi, da uno stupido equivoco.

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