• Insolito, se annoverato nel genere “cappa e spada”; modesto, se considerato nel genere “grandi affreschi storici”, I duellanti (1977) emerge in maniera superlativa tra le “trasposizioni di romanzi di grandi autori letterari”. Se infatti raramente, dopo aver letto un libro, si rimane soddisfatti dalla pellicola che ne è stato ricavata, dopo aver visto I duellanti si esce dalla sala esaltati dallo spettacolo.
Ci si chiede come Joseph Conrad abbia potuto sintetizzare in un agile volumetto sedici anni di Storia, e storia densa di eventi, ebbene, ancora più sorprendente è che Ridley Scott abbia potuto ottenere da queste poche pagine un'opera così maestosa.
Girato nella Dordogne, terra dei Perigord, la regione che si trova a Est di Bordeaux, celebre soprattutto per una delicatezza, il foie gras, il fegato d'oca, I duellanti consacra il regista britannico al grande cinema. Il film, tratto dal racconto di Joseph Conrad, narra notoriamente dell'antagonismo viscerale tra due ufficiali degli ussari napoleonici, contenzioso che li porta a sfidarsi a duello nel corso della loro intera, intensa vita militare.
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Proveniente dalla rinomata cinematografia pubblicitaria britannica, con oltre 1500 spot al suo attivo, Ridley Scott è un regista estremamente attento ai particolari, ossessionato dai dettagli. La sua ricostruzione delle scene in esterni è sublime. L'illuminazione degli interni a lume di candela non suscita alcun sospetto, provocando le emozioni di quando ci si confronta con i quadri di Caravaggio o di Georges de la Tour. I paesaggi sono quadri pre-raffaelliti, perfettamente composti, in cui non stupisce vedere muoversi piccoli esseri umani in costume settecentesco.
Una così grande cura dei dettagli non potè evitare di creare qualche grattacapo alla produzione, il che ha generato una serie di aneddoti che contribuiscono ad accrescere il fascino del film. Dei 58 giorni di ripresa, 56 piovve. Se si considera che il film è principalmente girato in esterni, il fatto è senza dubbio degno di nota. All'inizio, i costumi dei protagonisti erano confezionati in una replica dei tessuti dell'epoca, ma dovettero essere cambiati con costumi fatti in tessuti moderni perché i materiali originali non cedevano e si rischiava, tirando una stoccata di spada, che il costume esplodesse nel corso del ciack.
Durante le riprese del terzo duello, quello filmato nella stalla, che si conclude per esaurimento delle forze dei contendenti, gli attori maneggiano sciabole originali che pesano sei chili l'una. Le pareti erano ricoperte da una rete metallica alimentata da una batteria a 12 volt. Quando le sciabole dei duellanti le urtavano sprizzavano scintille, ma gli attori ricevevano una leggera scossa; così chiesero che fosse usata una batteria meno potente. Siccome il risultato non era soddisfacente, il regista ritornò segretamente alla batteria originale. A un certo punto, per errore, Carradine colpisce la mano di Keitel che si ritrae agitando il polso. L'attore ne rimediò un'unghia nera ma la reazione aggiunge realismo al film. Questa scena avrebbe dovuto occupare due giorni di lavorazione. Ne impiegò invece tre, dato che le pizze della giornata, inviate in Inghilterra per lo sviluppo, vennero aperte da un solerte agente della dogana.
Nell'esercito francese non si usava castrare i cavalli e anche i cavalli dei protagonisti erano stalloni, il che ha creato qualche imbarazzo quando d'Hubert si dichiara ad Adele, perché il cavallo alla briglia del cavaliere ebbe un'erezione, causando l'ilarità irrefrenabile dell'attrice (Cristina Raines). La scena non è venuta come ci si aspettava, ma così funziona anche meglio.
Se nel romanzo i protagonisti sono l'opposto l'uno dell'altro, anche nel film il regista non avrebbe potuto scegliere due attori più diversi. Il californiano Keith Carradine è biondo, slanciato e figlio d'arte. Suo padre era l'attore John Carradine; suo fratello David Carradine, attore anch'egli, morì in circostanze misteriose in Thailandia. Keith conserva un'aria trasognata da hippy aristocratico; Harvey Keitel è nato a Brooklyn. È nero di capelli, tarchiato e ha studiato all'Actor's Studio. Se il primo ama recitare d'istinto, il secondo richiede una serie di indicazioni dalla regia prima di esprimere il proprio ruolo.
Rispetto alla trama originale, arida su questo argomento, la sceneggiatura di Gerald Vaughan-Hughes sviluppa il rapporto tra gli ufficiali e le rispettive governanti, quelle ragazze che seguivano gli ufficiali da un campo di battaglia all'altro, servendoli e donando loro il proprio affetto senza alcuna prospettiva del domani, se non la morte dell'assistito o la fine della guerra e l'abbandono.
«Du sublime au ridicule – diceva Napoleone – il n'y a qu'un pas». Come il racconto, il film si chiude con la fine di un sogno trasformato in incubo e un'immagine: Gabriel Feraud, visto di spalle, il cappello a due punte e la feluca militare, osserva il paesaggio nel tramonto. Impossibile non paragonare quest'immagine al quadro di Francois-Joseph_Sandmann che ritrae Napoleone che, dallo scoglio di Sant'elena contempla l'orizzonte. La leggenda vuole che questo dipinto abbia ispirato Ridley Scott a farne un film.
Mai ispirazione fu più feconda. Il risultato non avrebbe potuto essere più soddisfacente, specialmente trattandosi di un esordio. Il film fu premiato con la Palma d'Oro a Cannes come miglior opera prima e si guadagnò il David di Donatello come miglior film straniero, più numerosi altri premi in patria.
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