Qualcuno potrebbe provare la tentazione di affermare che, con l'avvento del self-publishing, gli editori siano diventati una categoria ormai obsoleta. Non è il mio caso, né intendo insinuare che gli scrittori che hanno un editore alle spalle siano tutti prostituti, raccomandati, ballerine o calciatori che si sono fatti scrivere il libro da qualcun altro e sfruttano la propria celebrità. Non rientro in questa masnada di frustrati.
Personalmente ho una grande ammirazione per quegli scrittori che sono riusciti a farsi adottare da un editore capace e competente, a prescindere dal fatto che per questo si siano fatti raccomandare, si siano sottomessi a pratiche sessuali umilianti o abbiano commesso dei crimini orribili. Bisogna ammettere che la presenza di un editore assicura (o, almeno, nel migliore dei mondi possibili, dovrebbe) una serie di attività molto utili, se non indispensabili per gli autori: a) editing, che consiste nell'individuazione delle parti ridondanti, inutili o incongruenti della vostra opera, nonché nell'estenuante attività di correzione di bozze; b) impaginazione del testo (più facile a dirsi che a farsi); c) concezione di una copertina (idem come sopra); d) stampa. Quindi, a libro pubblicato: e) organizzazione di presentazioni; f) pubbliche relazioni; g) ufficio stampa; h) vendita dei diritti a livello internazionale. Inutile dire che il “self” in self-publishing riguardi tutte queste citate attività.
Ciò premesso, vorrei incominciare con una breve riflessione sugli editori e sul settore dell'editoria.
A grandi linee, si può affermare che in Italia il settore sia costituito da tre classi di protagonisti: i grandi gruppi editoriali, una manata di aziende che occupano una quota di mercato del 64.1%; i medi editori indipendenti (qualche decina) e i piccoli editori (migliaia). Nelle rilevazioni dell'AIE, la totalità degli editori “attivi”, che pubblicano cioè almeno 11 libri all'anno, ammonta a 2.225 imprese. Di questi, le 400 case editrici che annualizzano fino a 10 milioni di fatturato e non sono collegate ad alcun gruppo editoriale, occupano una quota di mercato del 12,8%; Tutti gli altri, si spartiscono una quota pari al 23,1% (dati AIE 2011). Fin qui, tutto bene.
Il primo gruppo è costituito da un pugno di aziende, a cui fanno capo cluster di marchi più o meno storici, che prosperano su una situazione di monopolio della filiera: stampano i libri, li distribuiscono nelle librerie e online, li vendono, li recensiscono sulle testate editoriali che posseggono, si spartiscono i premi letterari più prestigiosi. Non possono ancora scriverseli da sé, i libri, ma si stanno organizzando: intanto hanno cominciato ad accaparrarsi le scuole di scrittura (Feltrinelli recentemente ha acquisito la scuola Holden) e hanno messo uno zampino nel... self-publishing (vedi al prossimo post). I medi e i piccoli editori devono necessariamente passare – pagando pedaggio – attraverso questi potenti concorrenti per la distribuzione dei libri per le campagne pubblicitarie e per le recensioni, facendoli lucrare ulteriormente (il costo della distribuzione ammonta al 40-60% del prezzo di copertina di un libro).
Le case editrici di medie dimensioni che sono sopravvissute alla concentrazione editoriale sono ancora gestite da editori capaci di individuare in Italia e all'estero opere letterarie in grado di vendere numeri consistenti di copie. I loro autori hanno alle spalle dei prestigiosi premi internazionali, hanno scalato le classifiche all'estero o hanno accesso alla ribalta dei media, sicché possono contare su una vasta platea di potenziali lettori che sanno già chi sono. Tutto questo riguarda anche i grandi gruppi editoriali. Nonostante il successo, le case editrici medie sono spesso candidate a essere assorbite da qualcuno dei gruppi editoriali di cui al paragrafo precedente, verso i quali si trovano spesso fortemente indebitate a causa del costo della distribuzione.
I piccoli editori si dividono (a modesto avviso del sottoscritto e non senza una discreta dose di supponenza) in tre grandi gruppi. 1) I romantici, inutile dirlo, sono i più simpatici, ma questo non depone necessariamente a loro favore. Solitamente hanno un partner che paga i loro conti in rosso e finanzia i loro condivisibili sogni; finché dura.... 2) I mistificatori sono in realtà dei tipografi che applicano un ricarico sulla vanità degli autori, ma poi si limitano alla stampa del libro (distribuzione, promozione... ciccia). 3) Gli sfigati. Vorrei che ci fosse un termine più elegante per definire questo gruppo di illusi, totalmente inconsapevoli del'ambiente economico in cui hanno deciso di investire i loro risparmi. Una freddura che circolava un po' di tempo fa descrive perfettamente i soggetti. C'è un solo modo per diventare milionari con l'editoria: essere originariamente miliardari.
Al di là delle battute: a chi, di questa allegra congrega, in questa grezza classificazione, vi sentireste di affidare il frutto di mesi, se non anni, di duro lavoro? E quali potrebbero essere le vostre chance di essere, più che accolti in scuderia, anche solamente letti?
Il seguito alla prossima puntata.